Relazione del Consiglio Pastorale – Gennaio 2019


CONSIGLIO PASTORALE

15 gennaio 2019

Il motto iniziale “Servizio, collaborazione, dialogo e umiltà”, è stato assunto come modalità di presenza e di azione in prospettiva dinamica al fine di convogliare le diverse e energie presenti in parrocchia affinché, la generosità nel servizio da tanti dimostrata, lungi dal disperdersi, possa essere convogliata in iniziative concrete che orientino ad una vita spirituale più profonda vissuta in modo comunitario e per una testimonianza viva di fede, nell’accoglienza.

Ci sono tante persone generose e volenterose, che donano i loro talenti ed il loro tempo mettendosi a servizio del bene di tutti e ciascuno. Queste persone siete voi. Avete lasciato altri impegni per essere presenti qui, questa sera. E’ evidente che in voi c’è un vivo senso del servizio ed il desiderio di edificare questa comunità parrocchiale che spero sentiate vostra. Siamo popolo di Dio. Sappiamo che la chiesa, per sua essenza, è missionaria, nel luogo in cui il battezzato si trova. Mi chiedo se insieme, adesso, possiamo fare un passo avanti? Ma in cosa può consistere questo passo? Nel fare di più!? Certo le cose da fare sono tante e sono necessità reali. Forse possiamo fare meglio quel che già facciamo! Anche questa è cosa buona. Ma sarebbe bello, senza dimenticare le prime, spingerci nella dimensione della profondità spirituale; ossia dare maggiore spessore alla nostra vita di fede.

Trovo bella quella comunità che si dà premura per le piccole e grandi cose; ma è soprattutto significativa la comunità che, al primo posto, coltiva il desiderio di una vita spirituale più profonda: Una comunità che prega, e comprende il valore immenso e l’efficacia della preghiera; una comunità che ama raccogliersi intorno al Banchetto eucaristico e che ha piacere di stare insieme senza la fretta di andarsene; e che ha sete della parola di Dio.

Una comunità che ha scoperto quanto sia prezioso dare tempo alle cose del Signore, perché percepisce dove si trova la vera vita, il senso del vivere, la verità delle cose, la pace, la serenità. Una comunità che nel cammino di fede coglie l’espressione più alta della propria esistenza e trova in ciò il bene supremo da donare poi al proprio coniuge, ai figli e così via. Non so se sentite il desiderio di crescere a tal punto che ogni cosa che facciamo sia l’espressione della nostra relazione di amore col Signore, e non solo un fare per il fare, seppur necessario, ma che poi rischia di perdere il proprio legame con la dimensione della profondità.

Questa parrocchia ha una bella comunità; eppure mi rendo conto che c’è molto da riedificare. C’è un tessuto di relazioni da costruire e ricostruire. Gruppi da rianimare e rimettere in moto e ci vuole tanto tempo per tutto questo. Però, penso io, che anche se pochi, nulla, tranne la nostra personale rinuncia, ci impedisce di essere una comunità che genera. Un detto recita così: “Nella memoria della gente restano impressi coloro che hanno generato alla fede. Quelli che han fatto cose belle non sono molto ricordati”. Il generare alla fede appartiene a tutto il Popolo di Dio non solo alle guide costituite; ma genera alla fede chi ha fatto un cammino impegnativo nel quale si è fatto generare a sua volta. Chiediamoci dal profondo del nostro cuore: Cosa mi sta chiedendo, adesso, il Signore, qui ed ora? Possiamo e/o vogliamo veramente essere e fare qualcosa di significativo che sia espressione di una fede che vuole crescere e diffondersi?

Personalmente sento di non avere né la soluzione per il futuro, né la situazione in pugno. Ma questo forse non è un male irrimediabile, anzi può trasformarsi nella nostra forza; infatti noi, come Chiesa, non siamo chiamati a pianificare il futuro, questo lo fa un’Azienza e noi non siamo un’azienda che trova la sua ragion d’essere nella produzione, o nel numero di servizi che sforniamo. Noi siamo chiamati ad edificare un progetto con quella flessibilità e speranza di chi è consapevole che nella chiesa e nella storia agisce lo Spirito santo che anzi, è invocato: è lo sguardo di chi vive di fede. E’ la ricerca della sinergia con Dio. Sostenere che dobbiamo “fare” un progetto è giusto ma anche riduttivo; nel senso che prima di tutto noi stessi, personalmente e comunitariamente, siamo il progetto di Dio. Dire che non abbiamo la situazione in pugno, non significa arrendersi, ripiegandoci su quello che “si è sempre fatto”. Personalmente, non so se ci riuscirò, desidero fare la fatica di dare una risposta di fede, personale e comunitaria, al nostro oggi. Creare qualcosa, anche se piccolo, che sia significativo, in ordine alla fede; che risponda alle esigenze di incarnare il vangelo nell’oggi del mondo. Un progetto ambizioso o troppo alto? Non importa. Importante è non lamentarsi ché tutto va in rovina. Peggiore è l’inerzia, l’adagiarsi, il dare tutto per scontato o il campare di rendita.

Mi martella nella mente l’esperienza della prima comunità di Gerusalemme di cui vorrei riproporvi, senza ingenuità, il passo e poi alcune semplici e personali considerazioni che mi auguro ci aiutino a riflettere sul nostro essere comunità ecclesiale. Ecco il testo dove sottolineiamo i punti per noi salienti: “Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone. Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere.  Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. [Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo]. Intanto ogni giorno il Signore aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.” (2, 41-47)

Cogliamo solo quattro aspetti portanti: 1. Familiarità con la Parola; 2. Vita insieme sforzandosi di volersi bene; 3. Eucarestia; 4. Preghiera comunitaria Questa è la struttura o vita di una comunità cristiano. Particolarmente degno di attenzione è quella conclusione, dove dice che “il Signore aggiungeva alla comunità…”. Lui stesso li aggiungeva perché quella comunità viveva di fede, attuava un’esperienza di salvezza vera; Non era una comunità perfetta e tuttavia, insieme, cercavano il Signore: creavano un terreno fertile che generava alla fede. Per questo il Signore inviava gente nuova. Contrariamente le avrebbe fatto approdare da un’altra parte, ma non lì.

Vorrei porvi alcune domande: Cosa vedete realisticamente quando guardate la comunità parrocchiale? Cosa ritenete che manchi di essenziale per la crescita dei suoi membri? Cosa vi pare che offra a chi viene da fuori? C’è qualcuno che desidera fare un cammino di fede, magari incontrandosi anche a piccoli gruppi, in date stabilite, qui o nelle abitazioni, intorno alla Parola? Oppure chi desidera iniziare un percorso semplice, anche in piccoli gruppi, in date stabilite, che di casa in casa, dove si è invitati, si preghi insieme?

Ricordo anche che a breve inizieremo con Rinaldo e Nadia un percorso, a scadenze fisse, da decidere, sul tema del battesimo e poi vedremo strada facendo.

Un grazie di cuore per la vostra attenzione. P. Massimo, parroco.


Finita la relazione, il parroco ci invita a riflettere su cosa pensiamo della nostra comunità, su quale sia la sua vitalità e cosa realmente abbia da offrire, come cammino, alle persone che vi si accostano. Si discute, quindi, sulla dimensione interna, nostra, dei gruppi che abbiamo e come si muovono all’interno del contesto parrocchiale e cosa possiamo migliorare per dare profondità alla dimensione della fede. Si sottolinea la necessità di una formazione permanente che faccia perno sulla parola di Dio e sulla preghiera: ma come iniziare? Forse piccoli gruppi, che si ritrovano nelle case, in date prefissate e che accolgono via via anche gente nuova?

Rosella risponde che vede cosa molto bello il riproporre incontri nelle case, assieme ai sacerdoti, in piccoli gruppi. Mario approva, e mette in luce il fatto che nei gruppi parrocchiali non c’è molto collegamento. Non che vi siano rivalità ma possono esserci pregiudizi che vengono dal passato e bisognerebbe conoscersi meglio. Sull’argomento interviene Laura facendo presente, il pericolo di ricercare una perfezione che non esiste e che dobbiamo essere pazienti tra noi e stare attenti alle lamentele vicendevoli che poi possono provocare piccole prese di distanza. Occorre amarci come siamo. Ma viene precisata la necessita di sentirsi bisognosi di migliorarsi, guardando Gesù che ha Amato ma si è anche reso amabile. Si riprende l’argomento di prima: chi se la sente di mettere a disposizione la propria casa per fare piccoli incontri? Cosa possiamo iniziare a fare per migliorare l’attuale situazione? Luciana si interroga su come avviare un dialogo coi parrocchiani che non conosciamo, e come farci vedere disponibili all’incontro. Occorre certamente lavorare tra di noi per preparare il terreno favorevole per l’accoglienza. Sulla nostra visibilità in zona, Mario ricorda la Via Crucis fatta dentro i cortili dei condomini. Circa i lontani viene fatto presente un’esperienza riguardante alcune celebrazioni importanti quali funerali o matrimoni: la gente non sa rispondere e dimostra che non sono abituati a frequentare la chiesa.

Ci si chiede su come offrire una esperienza di fede bella e costante? Rita ricorda che i gruppi sono formati da molte persone esterne alla parrocchia, e aggregarli è cosa complessa. Padre Massimo punterebbe su piccoli gruppi, pensiero cui si associa anche padre Carlo. Servendosi della dimensione liturgica occorrerebbe cercare di coinvolgere anche persone diverse da quelle che solitamente svolgono servizio, magari ampliando il gruppo che fa le letture, nelle celebrazioni domenicali. Anche il coro è motivo di aggregazione. Sono piccoli accorgimenti che permettono di attirare le persone. Non dobbiamo arroccarci sui servizi, privatizzandoli. Francesco osserva che tutti gli interventi mostrano il bisogno di cambiare mentalità, con un nuovo ascolto ed il confronto tra noi in vista di un rinnovamento. La fede è comunitaria, e la verità è comunitaria per capire occorre stare assieme crescendo assieme con umiltà nel dialogo. Non corriamo il rischio di porre alla partenza quell’ideale che invece appartiene al traguardo, in altre parole: pensiamo anche in grande ma partiamo da quel che abbiamo, magari piccoli passi ma che siano solidi.  Adoperiamoci a ricreare nella comunità parrocchiale quel tessuto che per motivi oggettivi e/o soggettivi si è un po’ sfilacciato e non facciamoci prendere dallo sconforto se ci vediamo in pochi, cerchiamo piuttosto di rianimare e restituire ad una maggiore vitalità quel che al momento abbiamo e quelli che siamo

L’Incontro, dopo un confronto calmo e amichevole, si conclude con una preghiera nella preghiera.

Giulia