E. Boaga: dal giornalino n° 6


La popolazione e l’ambiente sociale della vecchia Traspontina

Dal giornalino n°6 – dicembre 2011

emanueleboagaDopo aver ricordato le vicende del territorio della parrocchia di S. Maria in Traspontina, viene da chiedersi: chi furono e sono gli abitanti di essa? Per il periodo in cui la parrocchia era presso l’antica Traspontina non si hanno molti dati certi sulla consistenza numerica della popolazione e sul relativo ambiente sociale. Si conosce, però, che già con la costruzione della basilica costantiniana al Vaticano, e con lo sviluppo nei secoli IV-V dei pellegrinaggi alla tomba del principe degli apostoli, sorsero in un modo irregolare edifici pubblici e privati, quali locande e piccoli conventi di pie e devote persone desiderose di vivere vicino alla tomba di S. Pietro. Con il trascorrere del tempo si aggiunsero altri edifici a scopo caritativo e per l’ospitalità dei pellegrini.

Nei secoli VII-VIII, quando i pellegrini divennero talmente numerosi, si sentì il bisogno di una loro migliore organizzazione. Sorsero così nella zona vaticana le Scholae delle popolazioni germaniche, ossia gli ospizi destinati ad accogliere i pellegrini provenienti dai rispettivi paesi. Così i Sassoni costruirono, tra il Tevere e il Gianicolo, il loro ospizio e la chiesa di S. Maria in Sassia (ove ora è l’ospedale e la chiesa di S. Spirito in Sassia); i Frisoni invece si insediarono sulla sella collinare del Gianicolo, ove costruirono la chiesa dei Santi Michele e Magno; i Franchi nella zona pianeggiante a sud-est della Basilica Vaticana; e infine i Longobardi nella zona nord-est nei pressi di Castello, zona che venne assegnata alla vecchia Traspontina quando fu dichiarata diaconia nell’anno 772.

Dopo l’occupazione e il saccheggio dell’indifesa Basilica Vaticana da parte dei Saraceni nell’846, si ebbe la fortificazione dell’abitato sorto in modo irregolare nella zona tra la Basilica e il Castello, che fu chiamato chiamata Città Leonina, anche se fuori delle mura rimasero alcuni edifici pubblici e privati. In breve tempo «si vide questa parte di Roma di là dal Tevere, per l’addietro tanto disabitata, popolarsi di ogni ceto di persone». Gente facoltosa e benestante costruì case, botteghe e palazzi, e per tutte le vie della Città Leonina fiorì un «comodo commercio».

Con il passare del tempo, l’abitato della parrocchia della vecchia Traspontina, come anche tutta la zona detta Borgo, venne a cambiare profondamente aspetto. Le causa vanno individuate nell’eccessiva distruzione di case per sostituirle con nuove o per aprire nuove strade, come anche nella costruzione del Corridoio o Passetto in modo da congiungere i palazzi apostolici con Castello, e anche nell’operazione che nella seconda metà del secolo XV portò alla distruzione di quasi la metà della case che si trovavano nei pressi del Castello stesso. In gran parte si trattava di case abitate da lavandaie e pescatori «come siti prossimi al fiume Tevere e commodi alle loro arti (= mestieri)».

Durante il papato di Sisto IV (1471-1484) s’iniziò un’azione intesa a favorire il ripopolamento della zona di Borgo e della Città Leonina, dando ad esse l’aspetto poi mantenuto per secoli. Allo scopo, come già aveva fatto Innocenzo VIII, si accordavano vantaggi per chi costruisse in Borgo o vi venisse ad abitare. In questo contesto sorsero case in serie, addossate le une alle altre, le quali, nei rispettivi piano-terra, avevano la bottega o negozio e una piccola scala di legno per accedere ai due piani superiori destinati ad abitazione e ciascuno piano era dotato di due finestre, e sopra detti piani un’altro con la loggia i cui archi poggiavano su larghi pilastri. Una «politica di costruzione», seguita anche dai pontefici dopo Sisto IV, che può spiegare la cresciuta consistenza numerica degli abitanti della Traspontina quando la parrocchia passò dall’antica sede alla nuova, tanto che in breve agli inizi del secolo XVII diveniva, tenendo conto del territorio sotto la sua giurisdizione assai limitato per abitazioni, una tra le più popolose delle 90 parrocchie romane esistenti in quel tempo.

 

p. Emanuele Boaga