San Pietro e Paolo alla Traspontina


Vari racconti sul soggiorno degli Apostoli Pietro e Paolo in Roma, li presentano insieme.
Uno di questi racconti, ricordato nei celebri Mirabilia Urbis, è legato a due fusti di colonne di colore roseo che attualmente si conservano in una cappella della chiesa di S. Maria in Traspontina, sulla via della Conciliazione. La leggenda che dette notorietà a queste due fusti di colonne soprattutto nei secoli XIV-XIX, ha il suo punto di riferimento ad un monumento sepolcrale in travertino, detto anche tiburtinum e che già alla metà del sec. XII non esisteva più.
Martirio San Pietroe PaoloNel 1180 circa il tiburtinum fu, ad opera del canonico Pietro Mallio, interpretato come un terebinto. Con tale fraintesa dell’originaria grafia del monumento funebre – basata dal canonico su una tradizione risalente al IV secolo secondo la quale sul luogo del martirio dell’Apostolo Pietro sarebbe esistito un grande albero di terebinto – si venne a determinare il luogo della crocifissione di S. Pietro, all’inizio dell’odierna via della Conciliazione, dove era ubicato tale edificio funebre attestato solo da fonti antiche e dove, più o meno già dal V-VI secolo iniziava la Portica, restaurata da papa Adriano I e andata in rovina nel secolo XIV. Il riferimento al terebinto appare chiaramente nell’iconografia dal sec. XV in poi rappresentando tale albero come riferimento al luogo del martirio dell’ Apostolo, come appare in un particolare della porta in bronzo, della basilica vaticana, di Antonio Averulino detto il Filarete (1439).
La notizia su questa identificazione del luogo del  martirio di S. Pietro, diffusa attraverso i Mirabilia, portava ad aleggiare presso la Mole Adriana (Castel S. Angelo) il ricordo dell’Apostolo e delle sue sofferenze prima del martirio, che lo associavano in modo analogo a quello del suo Divin Maestro. Si venne così a giustificare l’esistenza di una colonna usata per la preventiva flagellazione dell’ Apostolo.
Nella cappella posta agli inizi della Portica, ove si conservava tale fusto di colonna, in realtà ve ne era anche un’altra, dello stesso tipo. Tale fatto si trasformò ben presto nell’idea che anche S. Paolo fosse associato alle stesse battiture con l’Apostolo Pietro, nel carcere mamertino, lasciato poi dai due quando furono recati ai rispettivi luoghi ove subirono il martirio.
Nel 1195, Papa Celestino IlI, per una migliore conservazione di questi due cimeli, devotamente visitati dai pellegrini, li trasferì nell’attigua chiesa di S. Maria in Traspontina, che allora era situata molto vicino a Castel S. Angelo e che fu demolita ai tempi di Pio IV per ampliare le fortificazioni del Castello medesimo.
Libri indulgentiarum del tempo ricordano come in «S. Maria in Traspontina sono dati 300 giorni d’indulgenza alla visita delle due colonne alle quali furono legati i beati Pietro e Paolo».
La nuova cappella, il cui altare venne consacrato dallo stesso Celestino III, accolse più tardi anche un Crocifisso, certamente opera del secolo XIV, che ben presto la pietà popolare, legandolo all’episodio della flagellazione degli Apostoli durante la loro prigionia, diceva che ad essi aveva parlato, confortandoli nelle loro sofferenze.
Più tardi, al tempo di Alessandro VI, nella cappella fu posta una lapide il 5 dicembre 1495, con ricordo di queste reliquie apostoliche, di altri martiri e la memoria di una inondazione del Tevere.
L’8 febbraio del 1587 venne inaugurata la nuova chiesa di S. Maria in Traspontina. In questa occasione: avvenne il “trasferimento solenne in essa delle «due colonne alle quali gli Apostoli Pietro e Paolo furono flagellati e tutte le altre gloriose reliquie di quante ne era stata arricchita la prima chiesa», mentre dagli spalti di Castel S. Angelo venivano salutate «con lo sparo di moschetteria e del cannone».
Alla conservazione delle due colonne e del Crocifisso, legati dalla tradizione agli Apostoli Pietro e Paolo, venne dedicata l’apposita cappella detta «di San Pietro e S. Paolo o delle Colonne».A lungo queste colonne continuarono ad essere oggetto di venerazione. Lo stesso S. Filippo Neri (1515-1595) veniva spesso a pregare devotamente davanti ad esse, e Paolo V dichiarò privilegiato l’altare, già consacrato nel 1594 da mons. Timoteo Berardi, carmelitano e vescovo di Noli.
La cappella fu donata nel 1599 dai Carmelitani al conte Giovanni Battista Stanga di Cremona, ambasciatore a Roma degli Elettori di Baviera e Colonia. Questi promosse lavori di abbellimento e decorazione, condotti poi a termine dai suoi eredi, verso il 1607, con una spesa complessiva di mille scudi. Il conte Stanga venne sepolto in questa cappella, e il suo stemma nobiliare è raffigurato nella chiave dell’arco della cappella e sul basamento delle colonne che sostengono l’altare.
Tutte le pitture, pale e affreschi sono di Giovanni Battista Ricci da Novara, che le terminò nel 1619 e raffigurano, nei pennacchi, i Profeti e nel sottarco, sui pilastri esterni, nella volta e alle pareti laterali – Storie della vita dei due Santi Pietro e Paolo. La pala d’altare raffigura la flagellazione dei santi Pietro e Paolo.
L’epigrafe, posta nel 1648 sulla parete di destra, ricorda il conte Giovanni Battista Stanga, mentre l’altra epigrafe sulla parete di sinistra, databile al 1496, è il marmo con il ricordo nella volta e alle pareti laterali Storie della vita dei due Santi Pietro e Paolo. La pala d’altare raffigura la flagellazione dei santi Pietro e Paolo. L’epigrafe, posta nel 1648 sulla parete di destra, ricorda il conte Giovanni Battista Stanga, mentre l’altra epigrafe sulla parete di sinistra, databile al 1496, è il marmo con il ricordo delle tradizioni riguardanti la Traspontina e le sue reliquie, proveniente dall’antica chiesa. Al centro della cappella nel 1908, trasferendo li da Viterbo, vennero sepolti i resti mortali del carmelitano venerabile padre Domenico Lucchesi (1652-1714).

Emanuele Boaga, O.Carm.